A PASSO di DANZA… per CARATE: sulle tracce di TRACCE di SOFIA FUOCO

Domenica 6 giugno l’Associazione Sentiero dei Sogni inaugura un nuovo filone delle sue Passeggiate Creative, dedicato alla danza e ai suoi grandi personaggi vissuti sul Lago di Como.
A PASSO DI DANZA… PER CARATE : SULLE TRACCE DI SOFIA FUOCO è dedicato alla grande ballerina dell’800, celebre anche per la sua attività caritativa.
ore 10.30 incontro sul sagrato del Santuario di S.Marta dove si trova l’ex mausoleo della famiglia Fuoco.
visita a S.Marta, discesa lungo il viale delle cappelline del Rosario, visita alla parrocchiale S.Maria Assunta di Carate e alla sacrestia, dove si trova la lapide dedicata alla ballerina.
Per finire ci si reca a Villa Fuoco, poco distante, con visione degli esterni.
Termine per le 12.30
Costo: 12 euro a persona
Ridotto 9,50 per:
minori di 14 anni (accompagnati da un adulto),
soci Sentiero dei Sogni.
Prenotazione obbligatoria cell. 320.3551711, mail gigliola.foglia64@gmail.com

Maria Brambilla nacque a Milano. Iniziò a studiare danza classica con Carlo Blasis nel 1837 e in seguito divenne una delle sue cosiddette Pleiadi. Nel 1839 all’età di nove anni fece il suo debutto sul palcoscenico al Teatro alla Scala. Il suo nome d’arte deriva dal cognome da nubile della madre e fu dettato dalla presenza di più “Maria Brambilla” nella scuola di danza.

Nel 1843, a soli 13 anni, fu nominata prima ballerina assoluta del teatro. Nello stesso anno, fu la prima a ballare Giselle a Milano. Nel 1846 ballò nel Pas de Quatre di Perrot alla Scala diretta da Filippo Taglioni.

In 1846, all’età di sedici anni, fu invitata dal Paris National Theatre per sostituire Carlotta Grisi. Il coreografo Joseph Mazilier stava per mettere in scena la nuova opera Betty con la Grisi ma la ballerina aveva già firmato un contratto con il Roman Apollo Theater. La stampa parigina iniziò a discutere la sorprendente tecnica e le pirouette della Fuoco prima ancora della sua prima performance alla Salle Le Peletier.

Impressionò il pubblico più per la sua solida tecnica classica che per la sua recitazione. Grazie al suo eccezionale lavoro sulle punte venne chiamata La Pointue a Parigi. Secondo Théophile Gautier «i suoi piedi volavano sul pavimento come frecce d’acciaio».

Fuoco fu solista al Paris Opera Ballet fino al 1850. Tra il 1847 e il 1848 si esibì a Londra. All’inizio degli anni cinquanta dell’Ottocento, fu ballerina principale del Teatro del Circo di Madrid. Lì rivaleggiò con Marie Guy-Stéphan, favorita del Marchese di Salamanca. Quando la Fuoco diventò la ballerina preferita del generale Narvaez, la rivalità scenica sfociò in scontro politico. I sostenitori del Marchese di Salamanca (e della Guy-Stéphan) dimostravano la propria opinione indossando all’occhiello garofani bianchi, mentre i sostenitori del governo (e della Fuoco) portavano garofani rossi, con le donne che sfoggiavano un’acconciatura à la Fuoco.

Nel 1852 danzava al Teatro Argentina di Roma. Per la fine degli anni cinquanta si ritirò dalle scene.

Sofia Fuoco, la divina di Angelo Emiliano

   Per Sofia Fuoco i faentini persero letteralmente la testa. La celebre ballerina venne in città due volte, nel 1853 e tre anni dopo, suscitando una sorta di pazzia collettiva tanto erano grandi l’ammirazione e l’entusiasmo. Dietro quel nome d’arte si celava la milanese Maria Brambilla. Era nata nel 1830 e i suoi progressi nella danza ebbero del prodigioso. Allieva del napoletano Carlo Blasis, considerato fra i massimi teorici del balletto, a nove anni già aveva un posto in palcoscenico e a 13 esordì come prima ballerina nientemeno che alla Scala. Pur non gradendo la rappresentazione – il Don Fabio di Serafini – l’autorevole critico della «Gazzetta privilegiata di Milano» le riservò un giudizio lusinghiero, giustificando gli spettatori rimasti in sala «per vedere quel demonietto trasfigurato in paggio, quella cara Fuoco che rende dilettevole la scena co’ suoi vezzi e la sua vispa giocondità». Pochi mesi dopo, sempre nel 1843, Sofia Fuoco entrò a far parte del complesso che riuniva gli allievi di maggior talento di Blasis, le Pleiadi.

L’anno seguente danzò con le artiste più rinomate del tempo e nel luglio 1846, a soli 16 anni, riscosse un successo enorme di pubblico e di critica all’Opera di Parigi. Nel 1847 si esibì al Covent Garden di Londra e nel 1848 a Madrid dove, oltre a farsi ammirare per le straordinarie doti artistiche, si fece amare per la generosa donazione alla Casa dei trovatelli (farà la stessa cosa a Faenza, destinando l’intero suo compenso della serata del 3 luglio 1856 agli «orfani del Choléra».
Poi una marcia trionfale attraverso i maggiori e più celebrati teatri d’Europa, suscitando ovunque «acclamazioni fin quasi al fanatismo».
Le trattative per averla a Faenza in occasione del grandi festeggiamenti di San Pietro del 1853 furono avviati per tempo fra il gonfaloniere Giuseppe Tampieri e l’Agenzia teatrale del bolognese Ercole Tinti. Gli accordi prevedevano che, oltre a due opere liriche, il cartellone comprendesse appunto il Divertissement danzante della Fuoco. La celebre artista sarebbe arrivata in città verso la fine di giugno assieme al primo ballerino Dario Fissi e a otto coppie di «grandi ballerini di mezzo carattere». Poi le cose si complicarono, da Faenza si ebbe l’impressione che l’amministratore dell’impresario intendesse fare il furbo e si rese necessario ridiscutere i termini dell’accordo. Fu lo stesso Tinti a garantire magnificando i successi della sua primadonna. «Ogni serata della Fuoco – scrisse il 22 maggio a Tampieri – fu una vera solennità. In primo luogo 2.500 franchi di incasso, corone, fiori, biografia, bouquet, regali e dopo il teatro la Banda con una magnifica serenata». II costo degli spettacoli era però salatissimo: duemila scudi romani «metallici», ovvero in oro o argento.II compenso previsto per Sofia Fuoco era di 768 scudi per otto rappresentazioni, oltre a meta del ricavato di una beneficiata (una serata in suo onore) e il rimborso delle spese di viaggio e di alloggio. Per farsi un’idea di cosa volesse dire, basti sapere che il compenso del primo ballerino, il Fissi, era previsto in 85 scudi e rotti e quello del coreografo, coadiuvato dal figlio, in 112. 

Ma nessuno in città ebbe da ridire sulla spesa: la Fuoco portò in scena Gisella e fu un trionfo senza precedenti. Ci fu chi commentò: «Le gambe, il corpo, le movenze della bellissima ballerina portarono una vera rivoluzione nel sangue e nel cuore dei giovani e dei meno giovani».
E altri: «Sofia Fuoco, la danzatrice dalla grazia affascinante, scosse il pubblico da quel letargo in cui era caduto e tanto lo entusiasmò che non si possono descrivere le dimostrazioni continue e crescenti. Pareva che tutti impazzissero ad ogni mossa. L’entusiasmo toccò il delirio». Tre anni dopo, come s’e detto, la Fuoco tornò. A prendere i necessari accordi per conto del Comune fu il conte Scipione Pasolini Zanelli. Anche in quest’ occasione qualcosa non andò per il verso giusto, tanto che l’impresario Antonio Pieraccini pretese di trattare con l’amministratore della sagra di San Pietro, Giuseppe Vespignani. Questa volta i compensi – perlomeno quelli inizialmente pattuiti – erano meno sproporzionati: 480 scudi per Sofia Fuoco e 300 per Dario Fissi ancora nel ruolo di primo ballerino. Non conosciamo però il numero delle rappresentazioni. Le opere in programma erano gli autentici cavalli di battaglia del’ etoile: La figlia del bandito di Perrot, Caterina e Le nozze di Ninetta con Nane.
Puntualmente si ripeterono le scene di esaltazione collettiva. «I faentini – ha scritto Piero Zama in “Addio vecchia Faenza” – parevano diventati matti, tutte le faentine erano diventate gelose». Persino uomini noti per i severi studi letterari e linguistici investirono il loro sapere in rime e sonetti sognanti dedicati alla bellezza e alla grazia dell’insuperabile artista.
Alla Fuoco era stata riservata un’elegante stanza nell’antico palazzo in angolo fra via Torricelli e via Manfredi. Qui ella si ritirava dopo gli spettacoli, dati ovviamente in Teatro (che ancora non aveva preso il nome del tenore Arcangelo Masini).

Sui muri della città, in tutte le strade, scritte osannanti consegnavano ai posteri il trasporto senza freni di giovanotti ed uomini maturi. Ci fu chi scrisse «Sofia più che mortal, fuoco divino!», ma quelli erano tempi in cui mischiare i santi coi fanti non era consentito. Quel «divino» ben presto scomparve sotto le pennellate della censura.

    Lasciamo ancora che sia Piero Zama a raccontare come andarono le cose la notte del 6 luglio 1856. «Dopo una recita che aveva segnato un particolare trionfo, Sofia Fuoco fu accompagnata dal popolo fino alla sua dimora, fra applausi scroscianti, al chiarore di fiaccole. E la carrozza era tirata e sospinta da innumerevoli adoratori. Dal piccolo balcone, chiamata, applaudita, Sofia si affacciò più volte, ringraziando e reverendo.
Ma giù gli ammiratori non si stancavano mai di rivolgere dichiarazioni, di gridare gli evviva, di cantare, di suonare le parole e le musiche che soltanto l’amore pazzo è capace di fabbricare, soprattutto nelle ore notturne. Impazientita di non poter dormire, Sofia Fuoco discese ancora una volta dal letto: cercò per un momento, trovò quello che, non ancora usato, cercava ed aperta la finestra lo tiro sugli ammiratori: i quali, lungi dal prendere spavento o dall’aversene a male, si gettarono con furia sui cocci, fieri di possedere almeno uno di quegli intimi amuleti. Ci fu chi lo tenne in serbo fino all’ora della morte».