La danza cortese

La danza cortese
Chiara Gelmetti

  • 1) La danza nel Rinascimento: arte ed educazione del corpo e dello spirito

La danza nel periodo rinascimentale italiano non è solo un passatempo elevato per le corti, disciplina che mentre forma il corpo ne eleva lo spirito, ma anche elemento di prestigio, elemento sociale utilizzato dalle nobili corti della penisola  nelle grandi occasioni, nobiltà che attraverso la danza e i suntuosi abiti e gioielli esibiva anche il proprio potere, e appunto elemento educativo importante, parte di quell’educazione cortese che formava la gioventù nobiliare, giovani versati non solo nell’arte delle armi e del cavallo, ma in tutte le arti liberali del Trivio (grammatica, retorica e dialettica) e del Quadrivio (algebra, musica, geometria e astronomia/astrologia), dove se già la musica ne faceva parte, la danza – e proprio con Guglielmo Ebreo da Pesaro (il più noto maestro di danza del Rinascimento italiano)  – comincia a prenderne parte.

Naturalmente le donne, madri, mogli, figlie del Principe, del Duca, del Signore che si occupava del governo e della difesa del territorio, hanno dato grande impulso e spazio a tutto ciò che intellettualmente e artisticamente arricchiva ogni corte italiana del Rinascimento, creando spazi meravigliosi di grande creatività e apertura, di cui la danza era una delle manifestazioni. Manifestazione alla quale le grandi corti europee guardavano con apprezzamento e attenzione e la danza italiana, così come la musica e la commedia dell’arte, diventano poli imitativi importanti e gli artisti italiani sono non solo contesi tra le corti della penisola, ma chiamati a lavorare nelle diverse corti europee.

  • 2) La nascita della figura del Maestro di danza

Solo nel XV secolo si comincia a scrivere di danza, benchè qualche indicazione coreografica si possa trovare nelle danze a carattere religioso e/o nobil-popolare (come nel Llibre Vermeill de Monteserrat o nelle Vidas dei trovatori).

Il primo trattato italiano di danza manoscritto Seu Arte saltandi et Chorea ducendi è quello del Maestro Domenico da Piacenza, a sua volta maestro del già citato Guglielmo Ebreo da Pesaro che ci lascerà diverse coreografie e qualche esempio musicale nel suo trattato De pratica seu Arte tripudii vulgarem opusculum, che circolerà in diverse versioni manoscritte. (nella pensola iberica, nella corte aragonese, abbiamo invece il famoso manoscritto de Cervera che però non presenta musica).

Ogni corte nel XV aveva un suo maestro di danza che formava i giovani della corte, ma organizzava anche i balli per gli eventi più importanti, come fidanzamenti, matrimoni, alleanze, visite, ecc. Precedentemente il ballo non aveva la statura che assume nel Rinascimento: porgere bene, muoversi bene, essere misurati e armonici, il rinnovato platonismo del “bello e bene” è un valore al quale ambiscono le corti umanistiche italiane del Quattrocento.  Nel Quadrivio la musica esprime il rapporto tra numeri e l’astronomia il rapporto tra le grandezze, la danza, novella tra le arti liberali, è un mezzo per rendere visibili e ricreare quei movimenti celesti, rendendoli terreni. Chi guida, conosce questi movimenti è dunque “Maestro”. Un maestro di danza come Guglielmo, che ha frequentato assiduamente le più nobili corti italiane e avuto accesso al pensiero umanistico che le permeava, era prima di tutto un umanista oltreché ballerino.

Molti sono i maestri di danza ebrei in quel periodo. Lo stesso fratello di Guglielmo, Giuseppe era alla corte di Lorenzo de Medici. Il padre, Mosè di Sicilia anch’egli ballerino, insieme a tanti ebrei che lasciarono la Spagna prima, il Portogallo poi e infine il Regno di Sicilia, trovò nelle corti italiane del Quattrocento accoglienza e protezione.

Inoltre nell’ebraismo il corpo non ha accezione negativa, ma è parte della preghiera e l’unione/fusione anima corpo è fondamentale. Vi è una consuetudine alla danza in speciali momenti religiosi (anche il rabbino balla durante i matrimoni o durante la festa di Purim) e dal re David alla profetessa Myriam, la danza permette una comunicazione speciale con il divino.

3)   Danze e Coreografie nel XV e XVI secolo
Nei trattati manoscritti del Quattrocento, come anche quelli del secolo successivo, si comincia, dopo l’encomio diretto alla figura di Potere presso cui il maestro di danza era protetto ed ingaggiato, a descrivere le regole principali che compongono l’Arte del danzare. A mo’ di esempio riporto qui quelle del De pratica Arte tripudii di Guglielmo Ebreo da Pesaro, essendo questi il più noto e citato maestro di ballo del Quattrocento.

  • misura
  • memoria
  • partire del terreno
  • aiere
  • maniera
  • movimento corporeo.

Vi è poi la descrizione dei passi:

  • Continenza
  • Scempio
  • Doppio
  • Ripresa
  • Riverenza

E di quelli articolati Volta (tonda o del Gioioso), o di quelli che descrivono anche il tactus musicale: Quaternaria, Piva, Saltarello e che vediamo nel diagramma del cortigiano lombardo Antonio Cornazano, tratto da L’Arte del danzare (suo libro dedicato ad Ippolita Maria Sforza, consorte del futuro Re di Napoli, Alfonso II di Aragona), e che mostra con chiarezza tutti e quattro i principali modi del danzare del Quattrocento: bassadanza, quaternaria, saltarello e piva, alternando i ritmi binari ai ternari. La bassa danza è monoritmica e costituisce un modo e una misura, definendo così il rapporto tra musica e movimento, ed è su questo rapporto che si basano le altre misure, gli altri modi del danzare. La bassa danza era la misura più larga (essendo la più lenta), costituendo dunque l’unità di riferimento per gli altri modi che via via diminuivano la misura di 1/6 rispetto al precedente modo. [1]

Diagramma della relazione di misura, dal trattato di Antonio Cornazano. [2]

Diagramma della relazione di misura. [3]

Due sono le principali categorie in cui vengono suddivise queste danze: la bassadanza, lenta, nobile e regina di tutti i modi del danzare, e i balli che presentano al loro interno i diversi passi e modi e includono molto spesso anche la bassadanza che tempera e nobilita gli altri ritmi più veloci.

Vengono poi descritte le coreografie e pochi sono gli esempi musicali e si riferiscono al ballo e non alla bassadanza che poteva essere eseguita anche senza musica, paiono suggerire alcune frasi del trattato… sul tactus del respiro, della terzina, nella sua capacità di temperare la complessione degli Umori. Nel XVI secolo, la danza è anche mezzo politico di intrattenimento e gestione del potere nelle sfarzose sale in cui campeggia nelle varie occasioni sociali. E introduce non solo la figura del maestro di danza, ma del professionista ballerino, della sua scuola e dei ballerini che verranno citati nei trattati del periodo, insieme alla compagine sociale: Dame e Cavalieri, di cui i trattati coreutici rivelano il ritratto. Questi i maestri più noti e le loro opere: Fabrizio Caroso da Sermoneta con Il Ballarino (Venezia, 1581) e Nobiltà di Dame (Venezia, 1600) e Cesare Negri milanese con Le Grazie d’Amore (Milano, 1602) e Nuove Invenzioni di Balli (Milano, 1604).

Le Grazie d’Amore verrà poi tradotto in spagnolo (Arte para aprender a dançar: Compuesto por Cesar Negri Milanes) per la corte spagnola, relativamente pochi anni dopo la sua stesura. Ricordiamo che Cesare Negri era stato maestro di danza della nobiltà lombarda, ma anche dei governatori spagnoli a Milano e del loro seguito.

Nei trattati ormai a stampa, troviamo la notazione musicale di diversi balli nella loro  intavolatura per liuto. Restano, pur cambiando di esecuzione/modo, i passi del Quattrocento: continenza, scempio (semplice), doppio, ripresa e riverenza. Dalla bassadanza si passa alla Pavana, grave nel suo incedere e adattissima al corteo, e si aggiungono molte variazioni e salti soprattutto grazie all’introduzione della Gagliarda e dei suoi cinque passi, a cui Cesare Negri dedica la seconda parte del suo trattato. Se l’Arte della Variazione nel Quattrocento è sì di bravura e di stile, ma sempre misurata nel suo esporsi, nel Cinquecento, pur mantenendone la sprezzatura, il ballerino (specialmente di genere maschile) si esibisce in un vero e proprio pedalogo e presenta le variazioni coi salti più arditi che ne decretano la statura del vero professionista.

[1] «Nella notazione moderna, i tempi delle quattro misure sono assimilabili al 6/4 per la bassa danza, 4/4 per la quaternaria, 6/8 per il saltarello e 4/8 o più raramente 6/8 per la piva.» Cit., José Sasportes, Storia della danza italiana, Torino, EDT, 2011, p. 29.

[2] Antonio Cornazano, Libro dell’arte del danzare, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Cod. Capponiano 203, sec. XV, c. 10r. [riga 414-23].

[3] Vedi nota 1.

ADA Danze Antiche, esempi di Danza cortese del XV secolo

ADA Danze Antiche, esempi di danza cortese del XVI secolo