Musica rinascimentale a San Carlo al Lazzaretto

Ensemble

CHIESA di SAN CARLO al LAZZARETTO

La chiesa di S. Carlo al Lazzaretto ha, nella storia architettonica di Milano, un’importanza rilevante, quale le sue modeste dimensioni e l’attuale collocazione non consentono oggi di apprezzare appieno.

Dapprima centro focale del Lazzaretto quattrocentesco, realizzata – per volontà di S. Carlo – in sostituzione di una modesta chiesetta, quindi prototipo di altre cappelle poste al centro di lazzaretti (Verona, Ancona), infine chiesa sussidiaria facente parte della Parrocchia di S. Francesca Romana quando il Lazzaretto viene a perdere le sue funzioni e viene demolito.

Il Lazzaretto

Il Lazzaretto è stato da sempre una struttura forte dalla parte esterna della città: 150 mila metri quadrati di territorio, associati per molti anni alla funzione di ospedale degli appestati, ma anche forma architettonica emblematica, accostata alla struttura muraria cinquecentesca, che ne costituisce l’elemento di passaggio con la campagna circostante. L’esigenza principale di questa struttura – utilizzata sin dal medioevo – era che fosse ubicata alla maggior distanza possibile dalla città, richiedendosi per gli appestati una segregazione completa e assoluta.

Il primo Lazzaretto di Milano fu costruito tra il 1447 e il 1450 dalla Repubblica Ambrosiana; ma questa struttura, benché collegata a Milano da un canale navigabile, si rivelò troppo lontana dal centro cittadino. Fu solo nel 1486, l’anno successivo ad una pestilenza che causò 135 mila morti, che – dopo un’ipotesi di collocazione a Crescenzago – si stabilì, grazie a un lascito di Galeotto Bevilacqua, di edificare il nuovo lazzaretto in località S. Gregorio (ubicata vicino a Lambrate). Ma anche questa località fu ritenuta troppo lontana dalla città e quindi si optò per un terreno appartenente alla Abbazia S. Dionigi (una delle prime chiese di Milano, ora distrutta) non lontano dal canale Redefossi, e si decise che la struttura avrebbe dovuto chiamarsi “S. Gregorio”.

La data della posa della prima pietra è il 1488. L’incarico di progettazione è affidato dall’Ospedale Maggiore all’Architetto Lazzaro Palazzi, seguace del Bramante (al quale per qualche tempo questa architettura fu attribuita) e a cui si debbono diverse opere di architettura e Milano. La costruzione del Lazzaretto continua fino al 1508 ma non sarà mai del tutto completata: concepita come una struttura chiusa all’esterno e aperta con un porticato continuo verso l’interno, il lato ovest (posto lungo la attuale via Lazzaretto) rimarrà privo del porticato.

La forma quadrata scelta dall’architetto risponde alla suddivisione delle quattro situazioni generate dalla peste: sospetto, malattia, convalescenza e servizi. Al centro del quadrilatero era prevista una chiesa per gli uffici religiosi che avrebbero dovuto poter essere visti anche da lontano, senza che i malati dovessero muoversi dalle abitazioni. L’ingresso principale avveniva dal lato sud (attuale via Vittorio Veneto); altri ingressi erano posti sugli altri lati. Tutto l’edificio era circondato da un canale d’acqua corrente (proveniente dal naviglio Martesana) che aveva la funzione di isolare il Lazzaretto dal resto della città, ma nel quale confluivano anche i condotti fognari provenienti dalle singole celle. La struttura era imponente: 288 camere, ciascuna a pianta quadrata, coperta da una volta a botte, dotate di un camino e di una latrina. Tutte le funzioni di isolamento richieste dalla malattia erano rispettate. E l’ampia area libera al centro del quadrilatero, riparata dall’esterno, poteva garantire anche una certa protezione ai malati che rimanevano all’aperto durante il decorso della malattia. Il Lazzaretto funziona come ospedale per gli appestati per più di un secolo, fino al 1633. Negli anni successivi diventa caserma, finché, alla fine del XVIII secolo, fiancheggiato ormai dal grande stradone di Loreto, se ne cerca una nuova sistemazione come cimitero o giardino. Passa quindi sotto la giurisdizione della parrocchia di S. Francesca Romana (1787) e in questi anni è parzialmente disabitato; viene quindi utilizzato in parte per le aule della scuola di veterinaria che ha sede nell’antico chiostro degli agostiniani. Nella seconda metà dell’ottocento la scarsa coscienza civica dell’amministrazione pubblica peggiora e porta a compimento l’attacco a questa struttura già perpetrato dal governo austriaco che fece attraversare il recinto dal viadotto ferroviario (che arriva quasi a lambire la Chiesa). E, infatti, a partire dal 1884, consente la demolizione del Lazzaretto per lasciar posto a una delle più vaste operazioni di speculazione edilizia dell’epoca: la costruzione del quartiere del Lazzaretto completato nel 1910.

Del Lazzaretto originario viene conservato un tratto del lato nord, adiacente a un nuovo edificio scolastico, mentre la rimanente parte viene demolita. Della struttura rimangono i bellissimi rilievi di Luca Beltrami, che, inutilmente, si oppose alla sua demolizione, e qualche bella fotografia che ci testimonia l’imponenza di questa struttura.

Il sacello di San Carlo

Il primo carattere distintivo della Chiesa è costituito dalla pianta ottagonale: tale forma si può far risalire al fatto che la forma basilicale, dopo la riforma di San Carlo, non è più rigidamente seguita e tendono a diffondersi organismi con schemi diversi, tra cui quelli a pianta centrale. Tuttavia, per questo edificio, si può supporre che l’architetto abbia scelto uno schema simmetrico perché l’officiante potesse essere visto da tutti i lati del Lazzaretto e in eguale misura, dato che le pareti esterne della chiesa erano inesistenti, limitandosi insieme a una struttura porticata coperta; ma è certo che vi abbia anche voluto imprimere il significato simbolico legato a questa forma, già utilizzata per i primi battisteri cristiani, e “Immagine della perfezione sovrabbondante”. Concordiamo con Don Vincenzo Cavenago quando aggiunge che “l’impianto ottagonale della chiesa al centro di quello quadrangolare del Lazzaretto potrebbe essere quindi un invito a considerare la vittoria di Cristo sulla morte come segno sicuro di redenzione per tutte le sofferenze dell’uomo”. Ma, pur nel rigore e nella apparente semplicità di questo impianto, l’architetto riesce a realizzare un complesso fortemente unitario che, se non ha la maestosità di un tempio, presenta delle proporzioni eleganti, un attento uso di materiali pregiati e utilizza anche degli stratagemmi prospettici che accentuano la visibilità dell’officiante da lontano, riuscendo a darci un concreto esempio della “perfezione” tutta rinascimentale di un organismo a pianta centrale.

Le vicende edilizie

Pellegrino Pellegrini (detto anche, dal nome del padre, il Tibaldi), l’autore del progetto di San Carlo alle Lazzaretto, era già alla fine della sua esperienza milanese nel 1580, quando attende alla stesura del progetto. Era diventato, grazie alla protezione di San Carlo, architetto della fabbrica del Duomo nel 1567, dopo un periodo passato a Roma (1547-1550) in cui aveva acquistato un linguaggio rinascimentale di impronta michelangiolesca. Grazie al suo incarico riesce ad operare non solo a Milano ma anche nelle città vicine con edifici di grande rilevanza: a Cannobio, a Novara, Vercelli, a Como, a Saronno, a Lodi, a Gravedona, a Tortona…

A Milano realizza la chiesa di San Fedele, il cortile dei Canonici, la chiesa di San Protaso, il tempio votivo di San Sebastiano (che può essere considerato l’antesignano del sacello di San Carlo) e, naturalmente, attende al progetto del Duomo per cui realizza il disegno del basamento della facciata che sarà utilizzato anche dopo la sua morte. Per la chiesa di San Carlo il progetto segue di poco quello di San Sebastiano (1576) e viene a completare con una struttura architettonica significativa un organismo ospedaliero d’avanguardia come il Lazzaretto. Il Pellegrini non segue direttamente i lavori del sacello, limitandosi a darne i disegni (uno, assai noto, è quello firmato da San Carlo conservato nell’archivio Borromeo all’isola Bella, due sono nella raccolta Bianconi): negli anni seguenti (a partire dal 1585, anno della morte di San Carlo), essendo inviso al consiglio della fabbrica del Duomo e agli architetti rivali, il Pellegrini non è più a Milano e preferisce accettare l’invito di Filippo II di Spagna a decorare, come pittore, l’Escorial; rimane in Spagna fino al 1595 anno in cui rientra a Milano per morirvi l’anno dopo. Alla realizzazione della chiesa di San Carlo attende quindi un altro progettista, l’ing. Francesco Pirovano, che esegue i lavori, probabilmente a partire dal 1585, terminandoli nel 1592. Dei quattrocento e più anni di storia della chiesa vale la pena di menzionare che nel 1795 fu fatto un primo restauro a cura dell’Ospedale Maggiore; nel 1821 i lati della Chiesa, originariamente aperti, risultano murati e infine, nel 1883, la chiesa viene trasformata dall’ing. Luigi Robecchi con un progetto di “restauro” che ottiene il beneplacito della commissione conservatrice dei monumenti cittadina. Su questo progetto di riforma si deve fermare la nostra attenzione: si tratta, infatti, del più importante progetto di modifica della chiesa dopo la chiusura delle pareti. Il progetto del Robecchi non si limita a una sistemazione generale dell’interno della Chiesa (con sottomurazioni, formazione di un vespaio, rifacimento degli intonaci, costruzione del nuovo altare, riparazione del tetto, costruzione di una nuova cupola e di un piccolo campanile), ma prevede anche l’aggiunta di un corpo a nord-est dell’ottagono che non poteva che nuocere all’armonia dell’edificio originario, rompendo la simmetria dell’organismo: tale aggiunta era stata richiesta dalla committenza come abitazione del sacerdote. Il progettista interviene all’esterno anche sulle serliane delle pareti, riducendo l’ampiezza dell’arco e ritagliandovi una modesta lunetta che mal si attaglia alla precedente apertura. Al tiburio viene sovrapposta come completamento stilistico una lanterna che ne ripete i motivi. Si tratta, comunque, di riforme di tipo utilitaristico (e non di restauro), le cui motivazioni vanno fatte risalire al fatto che si ritenne “Che detto edificio dal lato artistico non lo si può riguardare come monumentale e quindi non si possa esigere che non abbiano ad essere modificati il suo carattere, la sua forma e la sua decorazione”. E ciò nonostante ne fosse già conosciuta e apprezzata l’origine, anche se sussisteva qualche incertezza nella attribuzione (il Mongeri, ne “L’arte in Milano”, una delle prime storie artistiche di Milano, pubblicata nel 1872, ne attribuì erroneamente la paternità al Bassi o al Meda, giudicando l’architettura un po’ severamente: “il carattere di essa è quello d’un jonico, ma senza elasticità e senza grazia”. Il progetto finale di riforma è approvato ed eseguito nel corso del 1884: l’aggiunta del piccolo fabbricato, su un terreno comunale, viene a messa con la clausola “fino a quando l’edificio rimarrà chiesa”. I lavori non furono però sufficienti visto che il parroco Mazzoleni ebbe a richiedere successivamente una sopraelevazione dell’ala appena realizzata con la formazione di vere e proprie stanze al posto degli abbaini serviti da una scala di legno. Il progettista è, questa volta, l’ingegnere Carlo Robecchi, figlio del precedente e datato al 1892. La definizione tecnica dell’intervento prevedeva: “riforma e alzamento dei locali che dovranno servire ad abitazione del sacerdote che ufficia nella chiesa di San Carlino detta la rotonda nel Lazzaretto ed aggregata a detta chiesa”. Il progetto, realizzato solo in parte, muovendo da criteri squisitamente funzionali, prevedeva la sopraelevazione del corpo aggiunto, mascherando, all’esterno, il nuovo piano con un alto parapetto decorato con motivi eclettici: tali opere furono eseguite solo parzialmente, nonostante il parere contrario della citata commissione, limitatamente alla creazione di un secondo piano con la parziale soprelevazione della copertura.

Esternamente fu poi rifatto solamente l’intonaco (1938) e, come ultimo intervento, il manto di copertura (1984). Più interessanti e significative le modifiche subite dalla Chiesa all’interno prima di quest’ultimo recente restauro: non v’era più traccia degli originali gradini posti in corrispondenza dei pilastri che assieme alla strombatura degli archi, introducevano prospetticamente alla visione da lontano dell’altare. All’originario altare centrale furono progressivamente sostituiti un altare maggiore posto tra due della cupola e quindi degli altari laterali. Del 1895 è l’altare della Madonna di Pompei, del 1914 quello di San Giuseppe, del 1910 sono gli stucchi dorati che tanto contrastano con l’originaria sobrietà della volta a spicchi, del 1921 è il rifacimento della pavimentazione, la cui ultima versione “alla palladiana” è del 1938 (mosaicista A. Menegon). Del 1946 è l’inaugurazione dell’altare maggiore, cui segue dopo pochi anni la sostituzione della balaustra in legno con una in marmo. Ancora più recenti (1956) I mosaici negli altari laterali.

Il degrado pre restauro del 2015-2017

Tra gli edifici monumentali esistenti all’esterno delle mura spagnole, pochi dei quali attualmente ben conservati, San Carlo al Lazzaretto – chiamato anche in modo affettuoso San Carlino – si qualificava come uno dei più interessanti e, nello stesso tempo, in peggiori condizioni. Lo denotavano lo stato di degrado degli intonaci (un “Terranova” tanto resistente agli agenti atmosferici quanto inadatto per un monumento cinquecentesco), l’annerimento delle pietre naturali delle colonne, delle paraste e dei capitelli jonici, il degrado e la cattiva conservazione dei serramenti e di parti poco raggiungibili come le gronde e le pareti della lanterna. Problematiche le condizioni strutturali, con evidenti all’esterno alcune crepe nella struttura degli archi, rilevabili sia da fessure delle pietre sia dal distacco di parte degli intonaci. Questi difetti strutturali hanno avuto una probabile accentuazione dopo i lavori di scavo nell’adiacente pozzo che dava accesso alla galleria del passante ferroviario. Sicuramente la spinta della struttura lignea della copertura e il peso di questa, nonché la mancanza di una adeguata controventatura, hanno fatto sì che la parte strutturale principale operasse qualche assestamento.

Interventi di risanamento e restauro conservativo (2015-2017)

Il progetto di restauro si appoggia sul progetto precedente degli architetti Claudio Larcher e Rosangela Natale, confermandolo nella quasi totalità, salvo delle piccole modifiche concordate con la Soprintendenza di Milano.

L’intervento di restauro si è mosso su più registri tra loro coordinati:

– il restauro connesso con la nuova destinazione d’uso

– il restauro delle superfici vero e proprio

– il restauro delle parti strutturali.

Il restauro conservativo 2015-2017 a cura di 02Arch Studio e Naos Restauri, dir. Arch. Ettore Bergamasco.

II primo tipo d’intervento riguarda sia l’interno della chiesa sia la canonica. Per quel che riguarda l’aula il progetto prevede l’utilizzo dello spazio dell’attuale chiesa come spazio per la celebrazione, la preghiera e la Parola, ed eventualmente per lo svolgimento di concerti.

Nel progetto si è tenuto conto del sacello voluto da S. Carlo ponendo nel centro l’altare e accentuando la forma ottagonale con la sistemazione delle sedie e soprattutto con l’eliminazione degli altari laterali non più in uso. Si è tenuto conto nella progettazione della devozione popolare mantenendo nell’attuale posizione i quadri della Madonna di Pompei e di S. Giuseppe.

Sull’asse principale della chiesa viene conservato l’altare e il tabernacolo spostandolo a ridosso del muro perimetrale. Questa trasformazione sostanziale dell’interno ricrea uno spazio simile a quello originario, grazie all’aula centrale (già area presbiterale) e all’ambulacro laterale. Rimangono integre alcune parti della chiesa esistente come l’organo (accessibile con una scaletta a chiocciola) e il collegamento con la sagrestia nella parte posteriore destra.

All’interno, viene conservata la pavimentazione “alla palladiana” del 1938, mentre nelle zone degli altari rimossi viene riportata alla quota del pavimento generale la pavimentazione delle pedane degli altari (una palladiana con delle tonalità più gialle), integrandola. Per ottenere un livello di luminosità ben maggiore di quello attuale; vengono aperte altre due nuove lunette vetrate uguali alle quattro già esistenti, in corrispondenza dei tamponamenti dove sono stati rimossi gli altari laterali. Questo permette di avere una ventilazione e illuminazione migliore. Sono stati adeguati gli impianti e la tipologia dei serramenti.

L’ala destinata alla sagrestia e all’abitazione del sacerdote viene ripensata dal punto di vista distributivo per consentirne il migliore utilizzo secondo le attuali esigenze permettendo una certa flessibilità. Tutto il secondo piano del corpo aggiunto è, inoltre, in comunicazione con gli spazi sottotetto che circondano la cupola e permettono di tenere sotto controllo la struttura muraria e quella lignea del tetto nell’eventualità di possibili future manutenzioni.

La nuova distribuzione interna di questa zona non richiede mutamenti all’aspetto esterno, salvo la riapertura di un vano finestra verso largo Bellintani a pianterreno e la riapertura di una finestra nella copertura al secondo piano, in una zona dove tracce nell’intonaco testimoniano che già ce ne fosse una; viene rifatto il tetto e anche gli altri serramenti.

La Madonna di Loreto a Milano e al San Carlino…

Potrebbe apparire strano o inconsueto incontrare la statua della Vergine lauretana nella restituita chiesa di San Carlo al Lazzaretto – chiusa da alcuni anni a causa delle pessime condizioni in cui versava e riaperta nell’ottobre 2017 – ma di fatto uno stretto legame devozionale, storico e topografico collega Milano e San Carlo al culto lauretano, da cui assunse il toponimo il borgo milanese fuori Porta Orientale: el borgh de Lorett.

L’attuale statua di Santa Maria di Loreto in San Carlo al Lazzaretto, copia del simulacro conservato nel Santuario dell’omonima cittadina marchigiana, intagliata in essenza di Cirmolo, laccata e dorata dall’ebanista Duilio Carminati, è stata collocata nella teca ricavata nella colonna di sinistra vicino all’altar maggiore. Misura 85 cm1.

Che Milano sia città legata al culto mariano è cosa nota: la Madunina la protegge dalla sommità della guglia più alta del Duomo, che in epigrafe ne porta dedica: Mariae nascenti; l’usanza di attribuire il secondo o terzo nome Maria ai figli maschi e femmine era già in uso all’epoca dei Visconti (e tuttora mantenuta anche da diverse famiglie milanesi…); in moltissime chiese della città si trova esposto il simulacro di Maria bambina, il cui anniversario, la nascita di Maria2, era – e forse lo è ancora? – molto sentito e festeggiato nella nostra città.

In quella ricorrenza, nel Borgo e dalla chiesa omonima di Santa Maria di Loreto, edificata nel 1609 e terminata nel 1616, prendeva avvio la processione mariana con la statua venerata in portantina (la prima processione è attestata a partire dal 1643). In questo rione divenuto vieppiù popolato e richiedente nuovi ampi spazi di culto, venne edificata nella seconda metà del XVIII secolo la chiesa di Santa Francesca Romana (1782-1787), con il suo altare settecentesco dedicato ad un’altra Madonna nera, la Virgen de Monserrat, cui era devoto Carlo VI d’Asburgo (nonno di Giuseppe II), e la suddetta processione dall’annessa chiesa di Santa Maria di Loreto terminava così nella più grande nuova chiesa di Santa Francesca Romana3.

Nella parte orientale della città si snoda poi il percorso mariano-simbolico più interessante: quello delle tre Marie con l’abbazia di Santa Maria Rossa a Crescenzago, eretta nel X secolo4; l’abbazia di Santa Maria Bianca della Misericordia al Casoretto, denominata “Bianca” dal bellissimo dipinto5 attribuito a un lombardo Pisanello minore (e nella cui Sala Capitolare si possono ammirare tutt’oggi gli affreschi che ritraggono San Carlo e Federico Borromeo); e infine la Madonna nera venerata in quella che fu la chiesa di Santa Maria di Loreto, il cui simulacro originale6 è collocato oggi nella chiesa del SS. Redentore7.

Mentre le due abbazie sono tuttora sedi pastorali aperte ai fedeli, la chiesa della Madonna di Loreto, che sorgeva proprio vicino al Lazzaretto, eretta da Federico Borromeo su progetto del Richini (che per questa chiesa ne elaborò diversi), attuando così, in misura più modesta, le volontà del santo cugino8, venne purtroppo abbattuta nel 1913 e il prezioso simulacro della Vergine lauretana, commissionato nel 1610 da Pietro Spagnolo e intagliato dal famoso artista Virgilio Del Conte9, fu traslato nella vicina e nuova chiesa del SS. Redentore in via Palestrina, eretta nell’anno giubilare del Redentore, il 1900, che associò perciò tale nome a quello della Madonna di Loreto come avrebbe dovuto effettivamente chiamarsi inizialmente questa nuova erigenda chiesa.

Il percorso dei viaggiatori e/o pellegrini che arrivavano a Milano dalla parte orientale della città offriva pertanto queste tre importanti tappe mariane, cominciando con Santa Maria Rossa, poi Santa Maria Bianca e infine una colonnina con in cima la statua della Madonna della Misericordia (posta nel 1608 nell’attuale Piazza Durante e tutt’oggi in loco), dirigeva il viaggiatore e il pellegrino verso l’ultima tappa, quella della Madonna Nera o di Loreto e il suo tragitto si sarebbe così concluso in prossimità della Porta Orientale d’ingresso alla città, l’attuale Porta Venezia.

Il quartiere multietnico di Porta Orientale/Venezia è sempre stato molto popolato e popolare da metà Seicento in poi10. Con le grandi immigrazioni italiane dalla seconda metà dell’Ottocento ai primi del Novecento, molti tra i più disagiati lasciarono l’Italia e Milano11 alla volta del Sud America, soprattutto verso l’Argentina e il Perù. Con l’esposizione universale del 1906 il sindaco milanese di allora, Ettore Ponti, per consolidare i rapporti internazionali tra i due paesi che avevano accolto la massiccia immigrazione dei nostri concittadini, prese la decisione, assai criticata, di cambiare nome al corso di Loreto che divenne così corso Buenos Ayres, poi Aires, con annessi i piazzali Argentina e Lima.

La statua di Santa Maria di Loreto, la Madonna nera, posta in San Carlino, vuole essere simbolo di continuità e trasversalità storico-culturale, ma soprattutto simbolo di tolleranza e condivisione nella sua stessa manifesta etnicità in un quartiere che ha fatto della multietnicità, accolta e integrata, la sua identità. Nelle Litanie Lauretane la Madonna è invocata anche come Regina della Pace. Nel suo nome e sotto la sua protezione si può operare quella riconciliazione che unisce, fonde e stempera le differenti identità culturali e che nel suo nome, nella preghiera, riacquistano unità e senso…

Note

1    Nell’altra teca dirimpetto è stata collocata una scultura in legno di Sant’Antonio con basamento a rocaille di area Lombarda del XVI secolo. Anch’essa misura 85 cm. Già la dedica sotto la teca ne riportava un culto precedente al Santo.

2       La natività di Maria viene festeggiata l’8 settembre.

3       Nel 1727 il monastero annesso alla chiesa di S Maria di Loreto ricevette un cospicuo lascito dal conte Carlo Giuseppe Cavenago, molto devoto alla Madonna di Loreto. Il volume “Il Lazzaretto. Storia di un quartiere di Milano” Il Lazzaretto. Storia di un quartiere di Milano, di cui in bibliografia, è a cura di Vincenzo Cavenago. Un cognome che è parentela? O solo sensibile corrispondenza?

4       I cui mattoni rossi probabilmente le diedero il nome e, mi piace pensare, lo consolidò forse anche il manto rubino della Vergine alla destra del trono nei bellissimi affreschi absidali del 1382.

5       Il dipinto ritrae il nitore luminoso della Madonna fanciulla rivolta al santo bambino appena partorito che giace sull’erba, come recitano i due cartigli che uniscono la giovane madre al figlio: Ecce Maria genuit nobis Salvatorem.

6       Purtroppo l’originario colore scuro della pelle della statua, emerso dopo l’ultimo restauro del 1991 sotto i vari strati di pittura, non è stato portato in evidenza, preferendo lasciare il colore rosato che lo ricopriva: auspico che possa essere ripristinato quanto prima il colore originale che non solo è storicamente corretto, ma è altrettanto simbolicamente importante.

7       Certamente questo percorso cromatico-alchemico, iniziatico-devozionale, segna le tappe di un culto assai più antico…

8     San Caro Borromeo era molto devoto alla Vergine lauretana presso il cui santuario si era recato in pellegrinaggio quattro volte: nel 1566, nel 1572, nel 1579 e nel 1583 un anno prima della sua morte e avrebbe voluto erigere una chiesa importante su modello di quella marchigiana.

9       L’artista era nato in una famiglia di noti intagliatori che avevano la bottega presso Porta Orientale all’interno delle mura, i quali avevano lavorato per i conventi di San Simpliciano e Santa Maria del Carmine.

10    Sia l’annuale pellegrinaggio mariano settembrino, che partiva dalla chiesa di Santa Maria di Loreto, sia il grande Viale di Pioppi fatto erigere dagli Asburgo per far arrivare trionfalmente le carrozze imperiali in città, avevano contribuito ad animare il corso di Loreto che divenne luogo di attività commerciali e svago. Ancor oggi corso Buenos Aires è la passeggiata commerciale più lunga di tutta Europa.

11     Proprio al Lazzaretto vivevano in quel periodo le famiglie più povere del quartiere di Loreto.

Il nuovo organo a canne

Progetto: Martino Lurani Cernuschi – Realizzazione: Ditta Inzoli Cav. Pacifico & figli di Bonizzi F.lli.

L’idea di offrire a questi ambienti uno strumento più interessante, nasce direttamente dalla sensibilità musicale della Signora Andreina Rocca Bassetti. Grazie a questa intenzione ha iniziato a prendere forma quello che oggi può essere considerato il più innovativo e poliedrico organo del panorama lombardo.

Da questa premessa è stato ideato e progettato uno strumento di base Romantico/Sinfonica con elementi adatti alla musica barocca così come altri adatti alla tradizione dell’organo da teatro. Tale strumento, per come è stato ideato, riesce ad abbracciare fedelmente un repertorio che va da Bach alla musica da intrattenimento del 900′.

Lo strumento ha 31 file complete + 3 parziali, consta di 20 somieri differenti e circa 1800 canne. Di tutte le file, molte sono di nuova costruzione mentre il resto arriva da un meraviglioso organo Norman & Beard” del 1906.

La trasmissione è quasi interamente elettronica con somieri a magnete diretto. Solo i somieri delle basserie e del glockenspiel sono ad azionamento elettropneumatico.

Tutto lo strumento è chiuso in cassa espressiva per gestirne ottimamente l’importante mole sonora. Tre persiane indipendenti vengono gestite da altrettante staffe in consolle. Tali persiane gestiscono il volume di tre sezioni fondamentali dell’organo. Ance prima tastiera (persiana sinistra). Ance seconda tastiera (persiana destra). Sezione canne labiali (persiana centrale).

Vari registri sono ripetuti su entrambi i manuali proprio per avere a disposizione una grande modulabilità.

Inoltre sono presenti 4 tremoli.

Tremolo debole sezione labiale

Tremolo forte sezione labiale (del tipo wurlitzer).

Tremolo sezione ance

Tremolo Vox Humana

Oltre a questo sono presenti tutte le unioni-sub e super ottave.

È stato inserito anche l’accoppiamento melodico III/II e III/I

Le pressioni così come i mantici sono 4 e vanno dai 90 ai 170 mm in colonna d’acqua.

Le tastiere sono 3 anche se tecnicamente sono 2.

a cura di Chiara Gelmetti, 5 dicembre 2017