Il sogno di Giuseppe – Stefano Raimondi

Ringraziamo di cuore il poeta Stefano Raimondi, nostro docente di scrittura e poesia, per questi versi condivisi qui da Il sogno di Giuseppe:

Nella Genesi si racconta di come il faraone d’Egitto, non riuscendo a interpretare un sogno inquietante, avesse mandato a chiamare sotto suggerimento di un cortigiano un giovane ebreo di nome Giuseppe, figlio di Giacobbe, recluso in una cisterna, nelle prigioni di palazzo. Grazie alla scintilla di Dio viva in lui, infatti, Giuseppe è in grado di sciogliere ogni dubbio riguardo il mondo delle visioni e così fa anche con faraone, il quale per ringraziarlo lo libera, associandolo al trono («e il Faraone disse a Giuseppe: “Vedi, io ti stabilisco su tutto il paese d’Egitto”»).
Attorno a questo episodio, Stefano Raimondi ha composto Il sogno di Giuseppe (Amos Edizioni, 2019).

Il libro però non racconta la vicenda appena esposta; piuttosto, la usa per creare un contesto, uno sfondo. La raccolta infatti è totalmente priva di una dimensione narrativa, confermando la vocazione lirica dell’autore. Al centro del quadro a cui l’esergo tratto dall’episodio biblico ci conduce, c’è solo Giuseppe in cella – nella cisterna – visitato regolarmente da sogni di fuga, naufragi e morte, in un viaggio onirico lungo i 39 brevissimi testi disseminati di visioni, comparse, apparizioni, di cui egli è a un tempo protagonista e voce di commento – in corsivo – dai tratti sapienziali ed epidittici:

È un’altra frase sulle pareti
incise, di questa cisterna
che mi tiene come una preghiera, come
una maledizione che non smetto
di ascoltare. E sono loro ancora
a gridare dai rifiuti, loro
le voci che non approdano
che fanno paura; loro
i lasciti, i lasciati stare
che tengono a bada l’umano
che tolgono bende; che sono il taglio
e la guarigione insieme.

La sentinella diventa un’ombra;
da qui sembra la faccia conosciuta
di qualcuno.

Nonostante il contesto inusuale alla poetica dell’autore, numerosi elementi ricorrenti nei testi legano la raccolta alla produzione precedente. Oltre a alla ripresa di una certa ispirazione veterotestamentaria già presente, ad esempio, in alcune epigrafi de La città dell’orto, è riscontrabile soprattutto un lessico fatto di elementi urbani – cortili, tombini, ballatoi, ringhiere, finestre, stanze, case – già utilizzato a profusione specialmente in Interni con finestre e ne Il cane di Giacometti. L’utilizzo di questi termini dentro e fuori le visioni di Giuseppe permette di creare una sorta di interferenza geo-temporale nello sfondo: se le «cisterne» e i «pozzi» con i «mercanti» rimandano a una figurazione arcaico-biblica, gli elementi citati dell’urbanistica sembrano attraversare il tempo per diventare gli ambienti della Milano di oggi, cara all’autore e oggetto privilegiato della sua poesia. Rimane poi anche un’affezione per gli interni piuttosto che per gli esterni: nella storia di Giuseppe, cisterne, pozzi, angoli, stanze sono elementi che confermano la predilezione di Raimondi per gli spazi chiusi, circoscritti, perimetrati:

Qui restano sole le cose scontornate
dalle luci, quelle raccontate,
dalle ringhiere, dai ballatoi
sospesi sulle labbra delle facciate
piantate tra i cortili.

Oltre a ciò, anche un altro elemento che attraversa i testi si mostra in forte continuità con la poetica dell’autore. La visionarietà di Giuseppe è associata ad una peculiare predisposizione all’ascolto, a sua volta legata all’esilio silenzioso in cui si trova. Tre elementi, anch’essi frequenti nei libri precedenti, strutturano la veggenza del protagonista: silenzio, ascolto, parola. Giuseppe, che si contorce ogni sera visitato dalla divinità, è un personaggio assimilabile agli indovini dell’antica Grecia, come Tiresia, ai quali il dono della comunicazione col dio è dato a prezzo di grandi sofferenze («Le ripeteva così le sue nottate | rannicchiato agli angoli | con le ombre delle grate | urlanti sulle tempie»). Come Tiresia, il Giuseppe di Raimondi vive una dimensione ubiqua, a cavallo tra il mondo sensibile e un mondo altro, in cui sogno, divino, immaginario e ideale sbiadiscono uno nell’altro. In un moto inesausto tra una dimensione orizzontale e una verticale, biblicamente, l’intelligenza di Dio si riversa nel cervello umano, colmandolo di sapere, ma anche di tormento. Proprio al centro dei testi sta questa colluttazione silenziosa che Giuseppe ingaggia con le sue visioni nel tentativo di capirle, cercando di estrarre dal silenzio parole per poter dire ciò che vede, chiamando a raccolta gli elementi naturali come interpreti, in bilico tra la necessità di ancorarsi al reale e i fattori di vuoto obbligatori per iniziare un discorso (i già detti silenzio, ascolto, parola) .

Erano fatti così i sogni:
li contava con frasi di terra
e acqua, con pietre focaie
messe sulle soglie.

Lo so che da qui non si passa
che non è semplice lo sguardo.
Il buio chiama tra le radici i destini.

Le grammatiche corrodono
fanno trasparenze: lasciapassare.

Altro polo oppositivo è il contrasto tra luce e ombra, che richiama la veglia e il sonno, nella ciclicità e nell’alternarsi quotidiano delle visioni:

Sono gli abbandoni a restare
più a lungo nei sogni – diceva mio padre –
sono gli insonni a trattenere i loro ricordi.

Da lì le ombre facevano
spazio alle luci, cercavano
gentilezze.

Nel finale, questa alternanza diviene parabola discendente che porta Giuseppe ad accettare il suo esilio nel mondo onirico e a chiudere con quello reale in una sorta di morte («Non ha saputo svegliarsi | tra gli angoli di una storia | di un’inquadratura»). In conclusione, si potrebbe tentare anche una lettura del libro in senso programmatico. Per l’autore infatti i temi dell’esilio nel silenzio, la convocazione dell’Altro, la sua auscultazione, l’emersione della parola dal fondo buio dell’assenza, sono ricorrenti e sostanziali alla creazione dell’idea di poesia e alla figura del poeta. Se Giuseppe, verrebbe da dire, è prima di tutto il poeta per come Raimondi lo intende – in una maniera tradizionale, dunque, che affonda la propria fisionomia fin nella Grecia e forse non è casuale la scelta biblica di questo episodio – allora anche la poesia, come la visionarietà di Giuseppe, nasce da un moto incessante tra il mondo tangibile e quello oltre il velo.


 Stefano Raimondi Il sogno di Giuseppe