Dante Da luce a luce – Meskalila Nunzia Coppola

Ringraziamo di cuore la ricercatrice Meskalila Nunzia Coppola per questo bellissimo intervento che ha tenuto per WKO-ADA durante il seminario Dante 2021 ” E qindi uscimmo a riveder le stelle“, facente parte del ciclo Astri Musica e Danza che si è tenuto a Villa Giulia Pavarotti il 5-6 novembre 2021.

Qui completato, ringraziamo Meskalila per la possibilità di riascoltarlo integralmente. al link sottostante. Buona visione!

https://www.youtube.com/watch?v=7btMMP2lzNU

San Giuseppe 2022 tra poesia e musica

Abbiamo dedicato a questa giornata diversi spunti che potete trovare su questo sito, nella bacheca online di “marzo special”. Pubblichiamo con piacere questo aggiornamento con uno degli intensi testi del poeta Stefano Raimondi, tratto da “Il sogno di Giuseppe” :

Questo non è un sepolcro.

Da qui tengo le ombre accese

le sagome sgorganti dalle insonnie. 

Sento le anche, le pelli

trasudarsi nei segreti e un coro
di sussurri tenere a bada
 la meraviglia di una stella.

I lini lasciamoli piegati.


Ora sono i porti

a scoppiare d’arrivi.

e concludiamo con questo brano musicale, di cui ringrazio i soci Laura Antonaz (soprano qui nella parte di Gesù) e Davide Monti (violino barocco).

Il transito di San Giuseppe: Amato genitore, ah, non temere (Gesu) · Laura Antonaz
Il Transito di San Gioseppe ℗ 2013 Tactus
Conductor: Maria Luisa Baldassari
Ensemble: Ensemble Les Nations
Composer: Giovanni Paolo Colonna

Cadmo e Armonia – Samotracia 2022

Quest’anno il viaggio-studio nell’isola di Samotracia, vedi il programma a:
https://www.danzeantiche.org/samotracia-2022-viaggio-studio/ ,
è dedicato al mito di Cadmo e Armonia e alle loro nozze sacre che furono celebrate sull’isola di Samotracia alla presenza di tutti gli dei.

In preparazione a questo viaggio, abbiamo voluto dedicare tre conversazioni attorno a questo tema, di cui ringraziamo di cuore Marina Gelmetti, Paola Cassella e Paola Lomi per l’accurata e generosa esposizione, vedi https://www.danzeantiche.org/conversazioni-online-2022/ , e riportiamo qui sotto l’estratto delle conversazioni per poterle in parte riascoltare e godere al meglio quest’appuntamento estivo. A presto sull’isola sacra!!!

6 gennaio – I Re Magi

Milano, Basilica di Sant’Eustorgio, Tomba dei Magi

La congiunzione Giove-Saturno ebbe particolare rilievo nei primi secoli dopo l’anno mille. La ricerca astrologica, all’epoca influenzata dalla tradizione Islamica e neo-platonica, tentava di ricostruire la configurazione celeste corrispondente alla nascita del Cristo, ovvero il suo oroscopo. Questa indagine, appoggiandosi sulle osservazioni dell’astronomo arabo Abu Ma’shar, arrivò a supporre che la “Stella dei Magi”, fosse in realtà la congiunzione di questi due pianeti, segno di un cambiamento di carattere globale. Infatti, come confermerà Keplero qualche secolo dopo, tale congiunzione avvenne intorno all’anno zero nel segno dei Pesci, il segno rappresentante la spiritualità e il misticismo.

Il Corteo del Magi: una tradizione antichissima a Milano
Quella del corteo dei Magi che, il giorno dell’Epifania, parte da Piazza del Duomo e arriva a Sant’Eustorgio, è una delle tradizioni più antiche di Milano.
Attestata sin dal Medio Evo, la sfilata del corteo dei Magi è uno degli eventi più amati dai milanesi, che vi assistono disponendosi lungo tutto il percorso.

https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/i-re-magi-epifania-cosa-c-e-da-sapere

https://chiostrisanteustorgio.it/luogo/basilica/basilica-cappella-dei-magi/

https://chiostrisanteustorgio.it/chiostro/la-tradizione-dei-magi/

https://reliquiosamente.com/2013/02/01/perche-i-re-magi-sono-a-colonia/

https://reliquiosamente.com/2014/04/03/le-altre-reliquie-dei-re-magi/

Chiesa dei Re Magi, Milano

La chiesa dei Santi Re Magi è una piccola chiesa che sorge nella periferia nord-est di Milano, a poca distanza da quello che originariamente era l’antico borgo di Corte Regina, nel comune di Cimiano, a testimonianza del quale oggi rimangono pochi edifici. La piccola chiesa è una di essi e sorgeva al centro di questo borgo di cui si ha conoscenza sin dal XII secolo. Attualmente la chiesa si trova attorniata da palazzi residenziali, incastonata tra via Palmanova e via Rottole.

Storia – Interno della chiesa
Nel XIV secolo si hanno le prime notizie della chiesa, allora dedicata a Santa Maria; nel XVII secolo la chiesa fu poi dedicata alla Natività di Maria, e infine ai Re Magi, con la prima attestazione nel 1704. Verso la fine del ‘700, la chiesa dei Magi venne venduta al Demanio, e diventò una abitazione per contadini, con l’abbattimento dell’abside e dell’aula sacra. Durante la seconda guerra mondiale, il campanile fu bombardato e parzialmente distrutto. Nel dopoguerra don Giuseppe del Corno, parroco di San Giuseppe dei morenti, dalla quale la chiesa ora dipende, riuscì a ottenerla in dono: dopo un restauro, essa fu nuovamente consacrata il 6 gennaio 1967. A oggi la chiesa è aperta (e quindi vengono celebrate le messe) da ottobre a giugno, mentre rimane chiusa nella stagione estiva.

Struttura – L’edificio restaurato rivela la sua struttura architettonica originale.
In mattoni rossi, appare decisamente gotico nella facciata, piccola ma slanciata, elegante ma sobria, con il semplicissimo portale sormontato da un arco gotico cieco e dall’ancor più semplice rosone. La porta è recente, con sottili stipiti di marmo. Una formella con Madonna e Bambino arricchisce l’arco gotico cieco. Ai lati della facciata, sui pilastri terminali dei fianchi dell’edificio, si appoggia la cuspide a due spioventi, con le archeggiature intrecciate poste sotto la leggera cornice da cui sporge il tetto.

Milano, Chiesa dei Re Magi, interno

Lo stile, tipico lombardo del tardo trecento, denuncia però l’origine romanica dell’edificio, sia nelle strette finestre strombate delle pareti longitudinali, sia nell’arco a tutto sesto che si apre sull’abside circolare, che all’esterno sembra una pura abside romanica. L’interno è a una sola navata con il tetto a capriate. Sulla parete sinistra si aprono quattro finestre di cui una piccolissima vicino all’abside, con tre piccoli affreschi del tutto sbiaditi a forma di medaglione. Di queste quattro finestre, sulla parete esterna, tre sono ad ogiva gotica ed una a arco romanico. La finestrella più piccola, che ha i medaglioni affrescati all’interno, presenta anche all’esterno pochi resti di affreschi ed è tra le tre ad ogiva. Sempre sulla parete interna di sinistra, poco dopo l’entrata, in una piccola nicchia, poggia una Madonnina in pietra che contribuisce a dare alla chiesetta quel suo aspetto di toccante semplicità. Sulla parete di destra si aprono finestre tra cui spicca il quadro, recentemente restaurato, dei Re Magi. L’altare monolitico di granito, di grande semplicità, poggia su un piedestallo di ferro e misura cm. 170 di lunghezza, cm. 87 di larghezza e cm. 53 di altezza. A destra dell’abside è collocato, incastonato nel muro, il tabernacolo di ottone e rame. Sull’altro lato dell’abside è situato un crocifisso di legno, collocato su candelabri che gli fanno da supporto. L’abside è affrescata dal pittore Martinetti. A destra del corpo della chiesa si erge il piccolo campanile.

Notizie storiche
Sin dal secolo XII, è ricordata, ad est di Crescenzago, una località chiamata Corte Regina, nella quale si trova la chiesetta di S. Maria. Alcuni storici pensarono che tale chiesetta ed i fabbricati contigui fossero stati fatti costruire da Beatrice Regina figlia di Martino II della Scala, signore di Verona e sposa di Bernabò Visconti; e che per Corte Regina si ripetesse quanto Regina della Scala fece nel 1381 a Milano, dove volle costruire una chiesa pure dedicata a S. Maria: S. Maria della Scala. (Nel 1776 tale chiesa fu distrutta ed al suo posto fu eretto il famoso Teatro alla Scala). Ma Corte Regina era chiamata così molto tempo prima che Beatrice della Scala nascesse. Altri storici hanno pensato che la località Corte Regina prendesse il nome dalla grande Via Romana: via Regina o Regia. Sembra invece più probabile che il nome Corte sia di origine longobarda (da Curtes: proprietà fondiarie riservate all’amministrazione Regia o Ducale). Ma, qualunque sia il significato del toponimo Corte Regina, è quasi certo ormai che essa indicasse una località della quale il più lontano ricordo è legato alla chiesa romanica di S. Maria che, verso il 1330, aveva anche un altare dedicato a S. Tommaso. Nel 1400 la località possedeva un Lazzaretto ben costruito e organizzato, destinato, per lunga consuetudine, al ricovero degli appestati. Tale Lazzaretto, come tanti altri costruiti in mezzo alla campagna, non fu più usato dopo la costruzione del grande Lazzaretto fuori Porta Orientale, iniziata nel 1488. Corte Regina fu visitata, nel 1567, dal prevosto di Desio e, nel 1582, dal Cardinale Carlo Borromeo. Dalla relazione di queste due visite otteniamo una buona descrizione della chiesa di S. Maria in Corte Regina e degli uffici contigui, e quindi del Lazzaretto con tutti i suoi servizi. Ci risulta che vi era anche un beneficio ecclesiastico formato da circa 200 pertiche di terreno che S. Carlo destinò al nuovo seminario diocesano, che si assunse l’onere delle Messe da celebrarsi nella chiesetta. Nel 1611, il Cardinale Federico Borromeo, in visita a Corte Regina, trovò, tra l’altro, che le monache, dette Vergini di Vecchiacchia, facevano celebrare delle messe perché avevano, accanto alla chiesa, dei beni immobili. È la prima volta che si parla della presenza di queste monache. Esse riuscirono ad introdurre il culto del Re Magi nell’antica chiesa chiamata prima S. Maria, poi della Natività di S. Maria, ed infine dedicata ai Re Magi. Infatti, nel 1704, il delegato dell’arcivescovo Archinti, in visita a Corte Regina, annotò che la chiesa era chiamata Oratorio dei tre Re Magi, ed aveva sull’altare maggiore una tela raffigurante appunto la Vergine con Gesù Bambino adorato dai Magi. Lo status materiale e spirituale della chiesa rimase invariato dal 1704 al 1756 ma, verso la fine del ‘700, con le famose soppressioni volute prima da Giuseppe II e poi dalle leggi napoleoniche, la chiesa dei Magi venne venduta al Demanio statale e quindi trasformata in casa e ripostiglio per contadini. Ne risultò l’abbattimento dell’abside e dell’aula sacra. Parte del campanile fu demolito da bombe durante la seconda guerra mondiale. Il prevosto di S. Giuseppe dei Morenti, don Giuseppe del Corno, intravisto il pericolo della totale distruzione della chiesetta, riuscì a farla donare alla sua parrocchia, iniziandone la paziente opera di restauro. Si ritrovarono le fondamenta dell’abside e, grazie ad una vecchia stampa, si conobbero alcune soluzioni formali che erano state del tutto cancellate. La chiesa venne inaugurata dal cardinale Giovanni Colombo il 6 gennaio 1967. Papa Paolo VI, a ricordo del suo ingresso a Milano nella festività dei Magi, inviò un prezioso calice per la nuova chiesa, che purtroppo venne rubato.

Situato al piano nobile del palazzo, fu una delle prime decorazioni eseguite dopo il completamento dell’edificio da parte di Michelozzo, e rappresenta il capolavoro del fiorentino Benozzo Gozzoli, allievo di Beato Angelico. Questo piccolo spazio era la cappella privata di famiglia e fu realizzata nel 1459, a forma originariamente quadrangolare (oggi un angolo è scantonato per via dei lavori seicenteschi allo scalone), con una piccola abside sempre a pianta quadrata, senza finestre. Nelle tre pareti maggiori è raffigurata la Cavalcata dei Magi, che fa da pretesto per rappresentare un preciso soggetto politico che diede lustro alla casata dei Medici, cioè il corteo con papa Pio II Piccolomini, e numerose personalità, che arrivò a Firenze nell’aprile del 1458, diretto a Mantova. In tale città il pontefice aveva chiamato principi e autorità ecclesiastiche a partecipare ad un incontro per progettare una crociata in difesa della cristianità contro l’avanzata turca in Europa. Pio II fu preceduto da vari principi italiani che sostarono a Firenze per unirsi al seguito papale: fra gli altri, anche Galeazzo Maria Sforza, il figlio quindicenne di Francesco duca di Milano, e Sigismondo Malatesta, signore di Rimini, alleati dei Medici, che appaiono ritratti all’interno della scena (Acidini, 1993)

Gli affreschi si dispiegano scenograficamente attorno allo spettatore e si ha l’impressione di ammirare il corteo senza interruzioni, dall’interno di una curva del suo percorso. L’opulenza e l’esotismo dei dignitari bizantini sono qui ben rappresentati e ci possono dare una misura dell’impatto sorprendente che ebbe sulla popolazione fiorentina, compresi i numerosi artisti attivi in quel periodo a Firenze.

Parete est
In un paesaggio di gusto quasi tardogotico, ricco di dettagli cortesi come castelli, scene di caccia e piante fantastiche, ispirato probabilmente ad arazzi fiamminghi, i ritratti della famiglia Medici sono posti in primo piano nella parete a destra dell’altare, personificati nelle figure a cavallo: un giovane, forse un ritratto idealizzato di Lorenzo il Magnifico in pompa magna, precede il corteo su un cavallo bianco, lo seguono suo padre Piero il Gottoso ed il nonno e capofamiglia Cosimo de’ Medici, entrambi a cavallo di una mula.

Seguono due dignitari italiani, Sigismondo Malatesta e Galeazzo Maria Sforza, signori rispettivamente di Rimini e di Milano, che furono in quegli anni ospitati dai Medici, e sono qui rappresentati per celebrare i successi politici della casata. In un certo senso le casate dei Malatesta e degli Sforza si erano recentemente imparentate con i Paleologi di Bisanzio, per questo essi sembrano fare da “garanti” al corteo che si svolge dietro di essi, come se fossero dei protettori alleati ai Medici. Dietro di loro si dispiega un corteo di filosofi platonici italiani e bizantini, tra i quali gli umanisti Marsilio Ficino e i fratelli Pulci e lo stesso pittore Benozzo, riconoscibile perché guarda verso lo spettatore (secondo le istruzioni di Leon Battista Alberti) e per la chiara iscrizione sul tessuto del cappello rosso: Opus Benotii d.. Nella stessa fila, secondo la studiosa Silvia Ronchey, si troverebbe, girato di tre quarti, il vero ritratto di Lorenzo de’ Medici adolescente. In terza fila si riconosce una fila di dignitari bizantini (dalla lunga barba) dove forse potrebbero essere stati raffigurati Giorgio Gemisto Pletone, Giovanni Argiropulo, Isidoro di Kiev, Teodoro Gaza e Niccolò Perotti. Nella fila successiva si scorge un personaggio con un berretto rosso e un ricco fregio dorato: quasi certamente si tratta di Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II. Il realismo dei volti è notevole ed è tipico dell’arte rinascimentale.

Parete sud
Nella parete successiva, il personaggio barbuto su un cavallo bianco è l’imperatore Giovanni VIII Paleologo di Bisanzio; accanto a lui le tre ragazze a cavallo sarebbero le tre figlie di Piero il Gottoso, sorelle di Lorenzo e Giuliano: da sinistra Nannina, Bianca e Maria.

Parete ovest
Infine nella parete di sinistra si riconosce la figura di un anziano su una mula, ritratto di Giuseppe, patriarca di Costantinopoli, anticipato dal fratello minore di Lorenzo, Giuliano de’ Medici con un leopardo maculato sul cavallo. Nella stessa scena sono raffigurati Sigismondo Pandolfo Malatesta e Galeazzo Maria Sforza e una serie di dignitari bizantini fra esotiche fiere come linci e falconi.

Scarsella
Nella scarsella sono stati affrescati due cori di angeli, nello stile del Beato Angelico, che coronano la pala d’altare, una copia di fine del Quattrocento dell’originale Adorazione del Bambino di Filippo Lippi, oggi conservata a Berlino.

8 dicembre – l’Immacolata

Nel giorno dell’Immacolata e a conclusione delle celebrazioni dantesche, riporto questi due bellissimi testi dedicati alla Vergine che ci traghettano dal Dolce Stil novo all’Umanesimo, insieme al bellissimo canto Vergine Bella di Bartolomeo Tromboncino (1470-1535), eseguito dal Quoniam ensemble (live in Frankische sommer Festival, Nuernberg) e la nostra socia e soprano Laura Antonaz

E più sotto un canto celebrativo medievale, Santa Maria – strela do dia, qui eseguito con una certa allegrezza, spero contagiosa… e la nostra danza composta Stella Splendens, coreografia originale di Enrica Sabatini per “Dante a Gradara. agosto 2021.

Dante Alighieri – Divina Commedia – Paradiso -Canto XXXIII: La preghiera di san Bernardo alla Vergine

«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,

tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.

Qui se’ a noi meridïana face
di caritate, e giuso, intra ‘ mortali,
se’ di speranza fontana vivace.

Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre,
sua disïanza vuol volar sanz’ ali.

La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fïate
liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate.

Or questi, che da l’infima lacuna
de l’universo infin qui ha vedute
le vite spiritali ad una ad una,

supplica a te, per grazia, di virtute
tanto, che possa con li occhi levarsi
più alto verso l’ultima salute.

E io, che mai per mio veder non arsi
più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi
ti porgo, e priego che non sieno scarsi,

perché tu ogne nube li disleghi
di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
sì che ‘l sommo piacer li si dispieghi.

Ancor ti priego, regina, che puoi
ciò che tu vuoli, che conservi sani,
dopo tanto veder, li affetti suoi.

Francesco Petrarca – Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta, XIV secolo) CCCLXVI

Vergine bella, che di sol vestita,
coronata di stelle, al sommo Sole
piacesti sí, che ’n te Sua luce ascose,
amor mi spinge a dir di te parole:
ma non so ’ncominciar senza tu’ aita,
et di Colui ch’amando in te si pose.
Invoco lei che ben sempre rispose,
chi la chiamò con fede:
Vergine, s’a mercede
miseria extrema de l’humane cose
già mai ti volse, al mio prego t’inchina,
soccorri a la mia guerra,
bench’i’ sia terra, et tu del ciel regina.

Vergine saggia, et del bel numero una
15de le beate vergini prudenti,
anzi la prima, et con piú chiara lampa;
o saldo scudo de l’afflicte genti
contra colpi di Morte et di Fortuna,
sotto ’l qual si trïumpha, non pur scampa;
20o refrigerio al cieco ardor ch’avampa
qui fra i mortali sciocchi:
Vergine, que’ belli occhi
che vider tristi la spietata stampa
ne’ dolci membri del tuo caro figlio,
25volgi al mio dubbio stato,
che sconsigliato a te vèn per consiglio.

Vergine pura, d’ogni parte intera,
del tuo parto gentil figliola et madre,
ch’allumi questa vita, et l’altra adorni,
30per te il tuo figlio, et quel del sommo Padre,
o fenestra del ciel lucente altera,
venne a salvarne in su li extremi giorni;
et fra tutt’i terreni altri soggiorni
sola tu fosti electa,
35Vergine benedetta,
che ’l pianto d’Eva in allegrezza torni.
Fammi, ché puoi, de la Sua gratia degno,
senza fine o beata,
già coronata nel superno regno.

40Vergine santa d’ogni gratia piena,
che per vera et altissima humiltate
salisti al ciel onde miei preghi ascolti,
tu partoristi il fonte di pietate,
et di giustitia il sol, che rasserena
45il secol pien d’errori oscuri et folti;
tre dolci et cari nomi ài in te raccolti,
madre, figliuola et sposa:
Vergina glorïosa,

donna del Re che nostri lacci à sciolti
50et fatto ’l mondo libero et felice,
ne le cui sante piaghe
prego ch’appaghe il cor, vera beatrice.

Vergine sola al mondo senza exempio,
che ’l ciel di tue bellezze innamorasti,
55cui né prima fu simil né seconda,
santi penseri, atti pietosi et casti
al vero Dio sacrato et vivo tempio
fecero in tua verginità feconda.
Per te pò la mia vita esser ioconda,
60s’a’ tuoi preghi, o Maria,
Vergine dolce et pia,
ove ’l fallo abondò, la gratia abonda.
Con le ginocchia de la mente inchine,
prego che sia mia scorta,
65et la mia torta via drizzi a buon fine.

Vergine chiara et stabile in eterno,
di questo tempestoso mare stella,
d’ogni fedel nocchier fidata guida,
pon’ mente in che terribile procella
70i’ mi ritrovo sol, senza governo,
et ò già da vicin l’ultime strida.
Ma pur in te l’anima mia si fida,
peccatrice, i’ no ’l nego,
Vergine; ma ti prego
75che ’l tuo nemico del mio mal non rida:
ricorditi che fece il peccar nostro,
prender Dio per scamparne,
humana carne al tuo virginal chiostro.

Vergine, quante lagrime ò già sparte,
80quante lusinghe et quanti preghi indarno,
pur per mia pena et per mio grave danno!
Da poi ch’i’ nacqui in su la riva d’Arno,
cercando or questa et or quel’altra parte,
non è stata mia vita altro ch’affanno.
85Mortal bellezza, atti et parole m’ànno
tutta ingombrata l’alma.

Vergine sacra et alma,
non tardar, ch’i’ son forse a l’ultimo anno.
I dí miei piú correnti che saetta
90fra miserie et peccati
sonsen’ andati, et sol Morte n’aspetta.

Vergine, tale è terra, et posto à in doglia
lo mio cor, che vivendo in pianto il tenne
et de mille miei mali un non sapea:
95et per saperlo, pur quel che n’avenne
fôra avenuto, ch’ogni altra sua voglia
era a me morte, et a lei fama rea.
Or tu donna del ciel, tu nostra dea
(se dir lice, e convensi),
100Vergine d’alti sensi,
tu vedi il tutto; e quel che non potea
far altri, è nulla a la tua gran vertute,
por fine al mio dolore;
ch’a te honore, et a me fia salute.

105Vergine, in cui ò tutta mia speranza
che possi et vogli al gran bisogno aitarme,
non mi lasciare in su l’extremo passo.
Non guardar me, ma Chi degnò crearme;
no ’l mio valor, ma l’alta Sua sembianza,
110ch’è in me, ti mova a curar d’uom sí basso.
Medusa et l’error mio m’àn fatto un sasso
d’umor vano stillante:
Vergine, tu di sante
lagrime et pïe adempi ’l meo cor lasso,
115ch’almen l’ultimo pianto sia devoto,
senza terrestro limo,
come fu ’l primo non d’insania vòto.

Vergine humana, et nemica d’orgoglio,
del comune principio amor t’induca:
120miserere d’un cor contrito humile.
Che se poca mortal terra caduca
amar con sí mirabil fede soglio,
che devrò far di te, cosa gentile?
Se dal mio stato assai misero et vile
125per le tue man’ resurgo,
Vergine, i’ sacro et purgo
al tuo nome et penseri e ’ngegno et stile,
la lingua e ’l cor, le lagrime e i sospiri.
Scorgimi al miglior guado,
130et prendi in grado i cangiati desiri.

Il dí s’appressa, et non pòte esser lunge,
sí corre il tempo et vola,
Vergine unica et sola,
e ’l cor or coscïentia or morte punge.
135Raccomandami al tuo figliuol, verace
homo et verace Dio,
ch’accolga ’l mïo spirto ultimo in pace.


Sant’Ambrogio – 7 dicembre

Si presume che Sant’Ambrogio sia nato nel 330 d.C. circa nella Gallia belgica, precisamente a Treviri, da una famiglia romana di alto lignaggio. Alla morte improvvisa del padre, che era un illustre governatore delle Gallie, Ambrogio si trasferì a Roma insieme alla madre, alla sorella e al fratello, proseguendo i suoi studi di eloquenza e retorica e avviandosi a ricoprire incarichi pubblici. A Sirmio, nell’antica Jugoslavia, iniziò quella carriera statale che lo portò a diventare avvocato della Prefettura Africana, Illirica e Italiana. In poco tempo divenne una personalità illustre e rispettata, tanto che nel 370 fu nominato, dal prefetto Sesto Petronio Probo, Governatore delle province dell’Emilia e della Liguria: la sede del suo lavoro fu Milano e qui riuscì ad entrare nelle grazie dell’Imperatore Valentiniano I. Si rivelò ben presto un eccellente funzionario e un risoluto mediatore, esercitando il suo lavoro di magistrato con magnanimità ed equità e risolvendo i sempre più frequenti contrasti tra i cattolici e gli ariani. La morte nel 374 di Aussenzio, l’ariano vescovo di Milano, animò nuovamente le due fazioni e Ambrogio si prodigò per placare una probabile rivolta in vista dell’elezione del nuovo vescovo. Si narra che mentre l’uomo era in chiesa, si udì in lontananza la voce di un fanciullo che urlava “Ambrogio vescovo”, seguita da quella dell’intero popolo di Milano, desideroso di avere un cattolico come successore di Aussenzio. Ambrogio vide la volontà di Dio espressa attraverso i cittadini milanesi e dunque, seppur titubante, accettò l’incarico: fu dunque battezzato nel novembre del 373 ed eletto vescovo il 17 dicembre dello stesso anno. Ambrogio decise di vivere la sua vita all’insegna della sobrietà e della semplicità, prestando aiuto a tutti coloro che lo cercavano: cedette infatti ogni suo avere alla chiesa, riservando all’amata sorella, la monaca Marcellina, l’usufrutto dei beni.

La sua attività pastorale fu assai fervente e intensa e a dimostrazione di questo rimangono gli inni da lui composti, le elaborazioni dogmatiche le opere ascetiche e morali ma anche moltissimi commenti esegetici.
La sua opera portò a numerose conversioni e Ambrogio ebbe il coraggio di proibire l’ingresso in chiesa all’imperatore Teodosio, considerato responsabile del massacro di migliaia di civili in Tessalonica, fino a quando non avrebbe ammesso le proprie colpe e non si fosse pentito. La morte per Ambrogio sopraggiunse il 4 aprile del 397 e le sue spoglie sono oggi conservate nella Basilica milanese a lui dedicata.

Ma non tutti sanno che il futuro Santo Patrono di Milano, per festeggiare il quale si tiene il 7 dicembre la prima del Teatro la Scala dal 7 dicembre 1951, era un musicista e un autore di inni liturgici, che amava usare il canto per entusiasmare la masse dei fedeli. Nella Pasqua del 386 d.C. battezzò Sant’Agostino e la leggenda narra che in quell’occasione improvvisò un duetto con lui, intonando il canto solenne Te deum laudamus».

Oggi, 7 dicember 2021, alle ore 18 la bacchetta del direttore musicale del Teatro alla Scala di Milano, il maestroRiccardo Chailly darà il via alla nuova Stagione 2021/2022 che si inaugura con Macbeth di Giuseppe Verdi.
In scena Coro e Orchestra del Teatro alla Scala insieme ai solisti Luca Salsi (Macbeth), Anna Netrebko (Lady Macbeth), Ildar Abdrazakov (Banco), Francesco Meli (Macduff), Chiara Isotton (Dama di Lady Macbeth), Iván Ayón-Rivas (Malcolm), Andrea Pellegrini (Medico), Leonardo Galeazzi (Domestico), Guillermo Bussolini (Sicario), Costantino Finucci, Bianca Casertano e Rebecca Luoni (le tre apparizioni).La regia è firmata da Davide Livermore con le scene di GIO’ FORMA i costumi di Gianluca Falaschi, le luci di Antonio Castro e la coreografia di Daniel Ezralow Official. D-WOK è responsabile dei video.Scopri di più su #PrimaScala https://buff.ly/3bdpF3q

La diretta esclusiva di Macbeth viene trasmessa su Rai1 a partire dalle 17.45. Rai Cultura renderà disponibile lo spettacolo anche su RaiPlay dove potrà essere vista per i successivi 15 giorni in Italia.

https://www.open.online/2020/12/07/prima-teatro-la-scala-di-milano-storia-video/

Ma il nome Ambrogio o Ambrosio, per noi appassionati di musica e danza antica, non può non ricordare due grandi personaggi della musica e della danza rinascimentale:
Joan Ambrosio Danza e Guglielmo Ebreo da Pesaro – Giovanni Ambrosio.

Joan Ambrosio Dalza (Milano, seconda metà del XV secolo – 1508) è stato un compositore e liutista italiano. Sulla vita e l’attività di Dalza non si conosce nulla. Le poche sue composizioni che a tutt’oggi risultano sopravvissute sono parte della raccolta Intabulatura de Lauto. Libro quarto, pubblicata a Venezia nel 1508 dall’editore Ottaviano Petrucci. In detta raccolta, importante e preziosa fonte sulla musica rinascimentale italiana per liuto, si trovano varie frottole, ricercari e danze (pavane, pive, saltarelli, calate, etc.). Dalza scriveva le sue danze in forma di suite, usando l’ordine pavana-saltarello-piva.

Joan Ambrosio Dalza, Recercare per liuto

Qui sotto potete ascoltare il Recercare di Dalza eseguito al liuto dal maestro e socio Emilio Bezzi:

Su Guglielmo Ebreo da Pesaro – Giovanni Ambrosio potete trovate molto materiale su questo sito, alcune indicazioni qui sotto e a voi la scelta…:

https://www.danzeantiche.org/guglielmo-ebreo-da-pesaro-alessandro-pontremoli/

https://www.danzeantiche.org/libri-2/

https://www.danzeantiche.org/manoscritti-e-trattati-di-danza-ed-educazione/

Giornata mondiale contro la violenza di genere – 25 novembre 2021


“LA VOCE DELLE DONNE” – WKO-ADA con Fidapa BPW Italy sezione Pesaro e CPO Ordine Avvocati Pesaro, insieme contro la violenza di genere, Pesaro 26 novembre 2021

Saluti

Tommaso Ricciardi , Prefetto di Pesaro e Urbino

Michele Todisco, Questore di Pesaro

Matteo Ricci, Sindaco di Pesaro

Filippo Gasperi, Sindaco di Gradara

Brigitta Fabbrocile, Ordine degli Avvocati di Pesaro

Francesca Serretti Gattoni,   CPO Ordine degli Avvocati di Pesaro

Tavola rotonda Introduce e modera Loretta Manocchi, Tesoriere Fidapa Pesaro con la partecipazione di:

Cristina Tedeschini                Procuratore della Repubblica del Tribunale di Pesaro
Violenza domestica: dati e statistiche del lockdown

Paolo Ercolani                             Filosofo e Docente UNIURB
Contro le donne: la misoginia nel pensiero e nella legge dell’Occidente

Asmae Dachan                        Giornalista e scrittrice
Le donne nei contesti di guerra: Siria, Etiopia e Afghanistan

L’mmagine “Blu acrilico scritto” è stata gentilmente concessa dall’artista tolentina Maria Micozzi , sempre in prima linea per la denuncia della violenza contro le donne
http://www.mariamicozzi.it/2014/10/19/opere-recenti/

Performance Voci e Danza tra antico e contemporaneo
Presentazione e drammaturgia: Chiara Gelmetti
Omaggio alla Beata Michelina: Elena Bacchielli
Letture: Manuela Marini
Voce recitante: Francesca Di Modugno
Danza: Bruna Gondoni e Marco Bendoni
e WKO-ADA Danza storica e Movimenti Gurdjieff: Laura Bozzoli, Angelo De Lucia, Laura Gallotta, Chiara Gelmetti, Laura Grasso, Franca Mandanici, Stefania Zeppa.
Coreografie:
Danze medievali, ipotesi coreografiche di Letizia Dradi, Bruna Gondoni ed Enrica Sabatini
Dal balletto Francesca da Rimini, musica di Pëtr Il’ič Čajkovskij, coreografia e danza Bruna Gondoni, Marco Bendoni
Movimenti sacri di G.I. Gurdjieff, dalle danze rituali femminili dell’antico monastero di Sarmoung (Afghanistan?), ricostruzioni coreografiche a cura di Marco Bendoni
Costumi: Pina Giangreco e WKO-ADA

«Io sono la Vita integra, non separata dalle pietre, non recisa dai rami… Io sono la radice di tutto e ogni parola suona e rinasce con me… Io sono l’Amore: potentemente raggiungo tutte le altezze sopra la terra, e nelle profondità, lego e raccolgo tutte le cose insieme… Io sono la ragione che è nel vento della parola risuonante e attraverso la quale è generata ogni creatura. È la ragione a risplendere negli astri e le stelle sono le sue parole…» (Ildegarda di Bingen, Liber divinorum operum, Visio prima)

Le voci delle donne e le loro storie. Spesso inascoltate. A volte dimenticate. Eppure forti, chiare e resistenti. Capaci di riemergere, anche a distanza di secoli, come quelle delle mistiche, poetesse e scrittrici di epoca medievale.
Per sfuggire alla violenza, domestica e non, ai matrimoni indesiderati, spesso le donne sceglievano il convento (oltre ad esservi anche destinate), il monastero, la cenobia, la confraternita e da questo luogo conclusus, ad interagire col mondo, sorsero voci di altissimo livello. Altro rifugio, per queste donne, erano le arti e soprattutto la poesia, dove molte di queste voci, per secoli inascoltate, si levano e rivelano oggi più che mai attuali.

Beata Michelina Metelli Malatesta – compatrona di Pesaro
Nacque a Pesaro nel 1300. A dodici anni Michelina Metelli sposò uno dei Malatesta, signori di Pesaro. Nel 1320 rimase vedova e poco dopo perse l’unico figlio. Aiutata dalla beata Soriana superò la dolorosa prova e si fece terziaria francescana. Per amore di Cristo donò ai poveri tutte le sue ricchezze e si impegnò in una vita di austera penitenza e preghiera. Col beato Cecco fondò la confraternita della Santissima Annunziata per servire i poveri, assistere gli infermi e seppellire i morti. Si narra che più volte Cristo le parlò dalla Croce. In età matura andò pellegrina in Terra Santa per visitare i luoghi della vita e passione di Gesù. Morì il 19 giugno 1356. È venerata come compatrona della città e il suo corpo è custodito nel Santuario di Santa Maria delle Grazie di Pesaro.

TESTI delle LETTURE estratti da:


22 novembre Santa Cecilia

Santa Cecilia, martire del III secolo d.C. patrona di musicisti e cantanti, è protagonista della tavola dipinta da un seguace di Giotto di inizio Trecento, Assisa in trono, con la palma del martirio e il libro sacro, è circondata da 8 storie della sua vita.

Cecilia, nata da una nobile famiglia a Roma, sposò il nobile Valeriano. Si narra che il giorno delle nozze nella casa di Cecilia risuonassero organi e lieti canti ai quali la vergine, accompagnandosi, cantava nel suo cuore: “conserva o Signore immacolati il mio cuore e il mio corpo, affinché non resti confusa”. Da questo particolare è stato tratto il vanto di protettrice dei musicanti. Confidato allo sposo il suo voto, egli si convertì al cristianesimo e nella prima notte di nozze ricevette il battesimo per mano del pontefice Urbano I. Tornato nella propria casa, Valeriano vide Cecilia prostrata nella preghiera con un giovane: era l’angelo che da sempre vegliava su di lei. Insospettito, chiese una prova dell’effettiva natura angelica di quel giovinetto: questi, allora, fece apparire due corone di fiori e le pose sul capo dei due sposi. Ormai credente convinto, Valeriano pregò che anche il fratello Tiburzio ricevesse la stessa grazia e così fu.

Il giudice Almachio aveva proibito, tra le altre cose, di seppellire i cadaveri dei cristiani, ma i due fratelli convertiti alla fede si dedicavano alla sepoltura di tutti i poveri corpi che incontravano lungo la loro strada. Vennero così arrestati e dopo aver redento l’ufficiale Massimo che aveva il compito di condurli in carcere, sopportarono atroci torture piuttosto che rinnegare Dio e vennero poi decapitati. Cecilia pregò sulla tomba del marito, del cognato e di Massimo (tutti e tre santi venerati il 14 aprile)[1], anch’egli ucciso perché divenuto cristiano, ma poco dopo venne chiamata davanti al giudice Almachio che ne ordinò la morte per bruciatura, ma si narra che “la Santa invece di morire cantava lodi al Signore”. Convertita la pena per asfissia in morte per decapitazione, il carnefice vibrò i tre colpi legali (era il “contratto” dei boia per ogni uccisione) ma Cecilia non morì, restando agonizzante per tre giorni. Fu papa Urbano I, sua guida spirituale, a renderle la degna sepoltura nelle catacombe di San Callisto.

La Legenda Aurea narra che papa Urbano I, che aveva convertito il marito di lei Valeriano ed era stato testimone del martirio, «seppellì il corpo di Cecilia tra quelli dei vescovi e consacrò la sua casa trasformandola in una chiesa, così come gli aveva chiesto»